Prendo spunto dall’intervista al Signor Pitana “direttore d’orchestra” dell’ultima finale dei mondiali di calcio per scrivere di arbitri e televisione, un connubio non sempre felice! Storicamente lo strumento televisivo – moviola – nasce per cogliere in fallo i direttori di gara e fomentare polemiche, non come un aiuto tecnico. Solo negli anni 90 il replay inizia ad essere utilizzato dal punto di vista didattico, soprattutto come base per aumentare il bagaglio e la conoscenza di situazioni tecniche difficilmente ripetibili in allenamento.
https://youtu.be/vDkavYuFND0
Mai come negli ultimi anni la tecnologia è entrata prepotentemente nello sport come supporto decisionale per gli arbitri di moltissime discipline. L’evoluzione ha investito anche il calcio, da troppo tempo ingessato nelle sue tradizioni. Lo strumento elettronico è stato generalmente percepito come la panacea di tutti i mali per poter risolvere immediatamente sul campo, con l’ausilio delle immagini, situazioni su cui si parlava per ore nei dibattiti televisivi e al bar sport. L’intento era quello di far sparire le polemiche, le proteste, gli scontri verbali, e non, tra le tifoserie.
Con il tempo si è capito però che talvolta un uso improprio della tecnologia può confondere le idee, anziché chiarirle. Partiamo da alcuni presupposti:
- le immagini hanno solo due dimensioni; manca la profondità e pertanto in determinate situazioni e da diverse angolazioni è comunque difficile stabilire le distanze tra i corpi e la responsabilità dei contatti.
- il gioco è dinamico quindi spesso si lavora sui frame e porzioni centesimali di tempo impossibili da cogliere dal vivo; da ciò ne consegue che talvolta il fermo immagine non sia sincronizzato con la gestualità arbitrale e/o con il fischio.
- Inizialmente lo strumento elettronico, chiamato in modo differente nelle varie discipline, nasce per determinare la posizione del pallone (dentro/fuori, toccato/non toccato, meta, stoccata) o per determinare la posizione dei giocatori (fuorigioco, tiro da tre/due punti). Usare la tecnologia negli sport di rete come volley e tennis è decisamente più facile che in quelli di contatto come calcio, rugby o basket; per contro l’utilizzo è ancora più difficoltoso nella scherma dove non solo si valuta la stoccata ma anche chi ha iniziato l’attacco o chi ha parato e risposto.
Lo strumento sarebbe di per sé quasi infallibile, ma come sempre una grossa mano a renderlo meno preciso arriva dall’uomo. Le cause sono diverse e non sempre attribuibili all’arbitro:
- per fare una buona lettura sono fondamentali le immagini; qualità ed angolazioni diverse possono fare la differenza: le regie ed i cameraman spesso “remano contro”, perdendo l’attimo o indugiando su particolari inutili.
- per leggere le immagini è necessaria una capacità diversa da quella che si usa sul campo: le immagini bidimensionali che scorrono sul monitor sono molto diverse da quelle “profonde” viste sul campo, senza contare il fatto che velocità normale e rallentata danno sensazioni diverse. Bisogna saper leggere quello che le immagini offrono, interpretando il body language dei giocatori, valutando le distanze, capendo le traiettorie. Velocità ed intensità sono assolutamente smorzate: pensate a come si vede una formula 1 all’autodromo e come la si vede alla televisione, dove tutto sembra più lento.
- un altro ostacolo arriva dai protocolli: è evidente che non tutte le situazioni possono essere arbitrate due volte; spesso nei protocolli qualche cavillo rende lo strumento meno efficace e soprattutto efficiente. Il calcio sta mettendo in forte discussione il proprio protocollo, nel basket nonostante le numerose falle nessuno sembra far nulla!
- in ultimo, lo strumento è funzionale se è usato quando serve, ovvero quando l’arbitro o i collaboratori capiscono che quella situazione deve essere riguardata. Spesso chi sta comodamente seduto in tribuna o in poltrona si domanda “perché non la va a rivedere”? Questa domanda contiene il verbo sbagliato: più che rivedere sarebbe importante guardare per cogliere tutti quei particolari che a velocità normale e sotto pressione possono sfuggire. L’orgoglio dell’arbitro o la sua presunzione sono spesso il peggior nemico da abbattere: rimangiarsi la decisione oppure accettare la correzione di un collega può destabilizzare anche il direttore di gara più esperto. Se alcune volte è impossibile riguardare la situazione perché non è previsto dal protocollo, altre volte è proprio l’arbitro, o chi per lui, che non ritiene la situazione degna di essere scansionata al video.
Un attributo primario dell’arbitro è quello di dare certezze, ma l’arbitro del “terzo millennio” deve sviluppare anche la “coscienza” di avere dei sani dubbi tecnici. Deve avere la capacità di analizzare immediatamente la propria scelta, di ascoltare e cogliere i segnali che arrivano dai protagonisti, di capire che la situazione rientra nel “mazzo” di quelle riguardabili, di decidere di mettersi in discussione facendo un passo indietro per poi farne due in avanti!
Più l’arbitro ha un atteggiamento assertivo, più facilmente potrà gestire la pressione del momento e farsi accettare dai protagonisti, anche se questo potrà comportare che non tutti siano contenti. Se ci fate caso il solo fatto di andare a vedere il monitor riduce notevolmente i decibel all’interno dell’arena: la scelta finale dopo aver guardato le immagini vale come un “ipse dixit” ed ha la capacità di mettere quasi tutti a tacere, indipendentemente dalla decisione presa e dalle sue conseguenze.
La TV è una carta troppo importante per essere giocata come “ciambella” per non affogare! Lo ha capito bene il Signor Pitana che nell’articolo definisce il collega italiano Irrati “un chirurgo della VAR”, e lo strumento “una seconda chance” per ridurre gli errori, senza esagerare ma con la disponibilità a rettificare l’errore. Lo ha ribadito Rizzoli, riferendosi agli arbitri nell’incontro con gli allenatori di serie A: “bisogna andare di più al video”, ma non si può arbitrare tutta la partita davanti al monitor; gli errori fanno parte della prestazione arbitrale e l’obiettivo dello strumento è quello di ridurre e se possibile azzerare gli errori più gravi e decisivi.
Ma cosa devono fare i direttori di gara per crescere nell’uso dello strumento e rendere ancora più credibile il loro lavoro? Per prima cosa devono imparare ad arbitrare a video, guardando e riguardando fino allo sfinimento partite, situazioni di gioco, clip didattiche. Il bagaglio “televisivo” è leggermente diverso da quello acquisito sul campo; inoltre guardare video costa fatica: bruciano gli occhi e si perde il sonno. Solo gli arbitri di vertice hanno la possibilità di utilizzare lo strumento elettronico, ma per aspirare al vertice e necessario essere preparati.
La lettura delle immagini serve ad aggiungere informazioni; a volte deve servire a modificare la decisione: è inutile arrampicarsi su specchi insaponati, soprattutto davanti all’evidenza! Ammettere un errore, cambiare una decisione sbagliata e/o prendere quella giusta devono solo portare serenità nella testa dell’arbitro e di riflesso nei protagonisti.
In ogni caso è fondamentale utilizzare lo strumento nel rispetto delle regole, attenendosi rigorosamente al protocollo di utilizzo. Ciò è imprescindibile per garantire equità competitiva, nella stessa gara, su tutti i campi per tutto il campionato; gli arbitri si devono abituare (allenare) a classificare le situazioni da riguardare e quando il gioco non permette di fermarsi immediatamente, appuntarsi mentalmente di verificare appena le condizioni di gara lo permetteranno; la cosa peggiore è dimenticare: il rammarico potrebbe essere ingestibile e il danno irreparabile.
Probabilmente chi pensa allo strumento elettronico ne intravede solo l’utilizzo tecnico, dimenticandosi però l’aspetto psicologico, altrettanto importante. Le aree più rilevanti a nostro avviso sono: infallibilità e fallimento, sudditanza psicologica, concentrazione, coerenza tecnica. Una spinta importantissima allo sviluppo del sistema potrebbe arrivare proprio da questo.
Ogni arbitro nel suo piccolo pensa di essere infallibile, ed in effetti la percentuale di valutazioni corrette, centinaia in una singola gara, gli darebbe ragione; proprio questa sensazione può però portare all’errore più grande: sottovalutare una giocata, catalogandola come uguale a tutte quelle fatte bene fino a quel momento, senza capire che tutte le altre non avevano provocato nessuna reazione, mentre per questa si è scatenato il finimondo. Cambiare una decisione non è mai un fallimento; è normale che un arbitro talvolta prenda una evidente cantonata: l’importante è mantenere la calma; il regolamento prevede una soluzione per qualunque situazione, anche se quando viene “inventato un fallo”! Ovviamente per essere applicato nel modo giusto, il regolamento deve essere conosciuto bene!
La sudditanza psicologica esiste, ma non è solo verso una grande squadra o un grande palcoscenico: spesso è molto più sottile! Si può manifestare nei confronti di se stessi, di un collega, dell’osservatore, del designatore, dei media. Ogni essere umano sente la pressione: la differenza tra le persone sta solo nella capacità e nell’allenamento nel gestirla. Pensate di paracadutare dentro San Siro, in divisa e col fischietto,un qualunque giornalista, opinionista, moviolista, allenatore o tifoso; secondo voi arbitrerebbe con disinvoltura? Ci sono dei momenti in cui l’arbitro vorrebbe scomparire dal campo, magari dopo una serie di chiamate che hanno provocato malumore e scontentato tutti; non preoccupatevi, il gioco è bastardo! Vi proporrà immediatamente un fischio complicato e penserete che l’interruzione per riguardare al video vi scaricherà addosso anche tutto il prima, il rumore del pubblico, le proteste delle panchine. La “decisione video” coinvolge sempre due o più arbitri: carisma, competenza, esperienza giocano un ruolo fondamentale, ma possono essere anche un boomerang. Non sempre chi ha deciso è il più esperto: quanto il parere dell’altro influenzerà la decisione? Il meno esperto o più giovane avrà la capacità di sollecitare il compagno e magari aiutarlo a cambiare decisione? Un arbitro meno esperto è più facilmente disposto ad accettare un “over rule” di quanto lo sia un collega più “importante”! Quanto possono influire sul pensiero, in modo trasversale, eventuali giudizi dei media, dei valutatori e dei designatori, sulle scelte operate?
La discontinuità creata da una interruzione per andare a guardare il monitor provoca sicuramente un calo di concentrazione. L’arbitro deve sapere che potrebbe vedere qualcosa che momentaneamente potrebbe “raderlo al suolo”, non tanto per la decisione del momento quanto per gli attimi o i minuti immediatamente seguenti. Qualunque sia la decisione è necessario avere capacità di “refresh” mentale e ripartire. Ogni situazione deve essere isolata senza mai essere dimenticata! Il filo tecnico della partita deve essere ripreso immediatamente, sfruttando il momento di accettazione promosso dall’utilizzo dello strumento.
Una cosa da non dimenticare mai è: quando e perché viene utilizzato lo strumento! Tutti si aspettano equilibrio ed equità: le situazioni simili dovranno essere trattate allo stesso modo, sicuramente riguardate, anche se le decisioni finali potranno essere diverse. Rivedere un contatto per deciderne l’upgrade o il downgrade richiede pochissimo tempo: come avrete notato nel video, due situazioni che sembrano innocenti possono nascondere più di una problematicità; scaltrezza e movimenti pericolosi, non devono essere permessi. Ma se come accaduto in una recente gara delle qualificazioni mondiali si fischiano quattro falli normali e poi riguardandoli si trasformano tutti e quattro in falli antisportivi, un dubbio sul criterio di valutazione deve per forza venire!
Se avete visto i video e siete arrivati a questo punto dell’articolo imparate a controllare “sempre” l’ultimo tiro/fischio della partita, ovviamente se avviene in prossimità della sirena di fine gare. Anche se il divario tra le due squadre è grande quei “punticini” potrebbero avere un valore determinante in caso di arrivo a pari merito alla fine del campionato. Può essere vero che ha alla fine “torti” e “regali” si compensano, ma è meglio usare la “seconda chance” che rimanere col dubbio!